giovedì 22 novembre 2007

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Il cielo nero delle 3 sbattuto ai margini di un mare piatto e placido,
le stelle come prolasso di interiora stanche e io che ho pagato lembi di vita con litri di birra e prosecco.

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Hai gli occhi gonfi e non di pianto,
gonfi per l’aria fresca che muove nuvole e ovatte.
Hai le spalle nn rotte o aperte,
con due germogli di piume e lavanda.

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Sorridimi sopra gli stipiti del cielo,
sorridi,
oltre agli astri e ai lamponi di marzo,
carezzami a lato degli occhi
e…..
sii ancora mia
con un bacio e l’anima tua

tuscolana

Ogni tuo respiro è il mio,
ogni sorriso un lucernario.
Ogni tuo battito lo scuotere del mondo,
le tue parole il segno a terra
dei passi fatti assieme.
Il tuo sguardo, sul finire della tuscolana…
come il cielo che frigge l’alba sotto ai castelli.

lunedì 12 novembre 2007

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Nel bar sotto casa,
parole profanate
su visi abberrati da vetri di carta
sillabano piombi e polveri madri,
ed in me,
in quella muta mancanza
che mi aprì gli angoli e le sbronze pagate coi lampioni,
tiene sospese
le vergogne di una vita comune.

bocca

Violacea e gonfia è la sua bocca,
crepata di profili insonni,
gonfia su sorrisi che sanno d’etere.
Sul collo, come una figa,
dischiude sonore assolvenze
ingoiando sudore
e fontane maschie.

venerdì 9 novembre 2007

rigido

Ho un rigido e macchinoso ingombro
tra le gambe.
Mi raspa e ti punta come un faggiano.
Cerco di resistere,
senza ascoltare i tuoi sguardi.
Le sbarre dell’ombra,
fitte come capelli,
lunghe come il delirio,
in frasche rovinose,
incarniscono i bulbi
che ti portano in grembo.
Come un feto malforme,
di viso d’angelo.

croste

Sollevo la crosta di ferite antiche
con l’egual desiderio
di trovare sotto al tappeto
la chiave che mi conduce a te.
Ma, allo stesso modo,
il dolore in carne
e sottili appiccichi di resistenza.

giovedì 8 novembre 2007

Coda d’acqua

Coda d’acqua,
azzurrognola,
di quella bestia che,
travasando sgomento,
mi succhiò il riflesso
in cui muore l’uomo
e le sue macchine

mercoledì 7 novembre 2007

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Poiché vi è materia
che si tratti col freddo,
il cervello,
spellato in sottili lamine
mostra,
in un chiasso di vie e condotti,
i contorni di macchine di un rasto immortale.
E ogni volta,
ancora il freddo,
un nuovo taglio
e quella sottile lucenza
di un prurito del cazzo.

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Mi sciolsi la notte
e ne bevvi l’anima.
sfumati i discorsi
in quella crepa nel palazzo,
ricercai il concilio
e,
come folate,
le fornellette, in alto nel cielo,
cuocevano menti di gas
seguendo meteore
di cani accesi per le code