giovedì 29 gennaio 2009

Bertha

Miss Fulton mosse in direzione di Bertha alla quale diede da stringere le sue dita affusolate.
<<>>
<<>> rispose Bertha.
Miss Foulton le trattenne la mano un attimo di più
<<>> mormorò
Ed eccola scomparsa con Eddie alle calcagna, come il gatto che ricalcava le orme del gatto grigio.
<> fece Harry, troppo staccato e controllato.
"quel suo incantevole pero... il suo pero... il suo pero!..."
bertha addirittura corse alle lunghe finestre.
<> Disse in un singhiozzo.
ma il pero era incantevole come sempre e fiorito e immobile.
Pensò questo con un’intensità tale da tagliarle in due la fronte. pensò e guardò l’albero fino a che, dalla base, il nero di uno spasmo mioclonico lo raggrinzì come una stuoia vecchia.
Le allucinazioni e le deliranti visioni si placavano. L’accesso epilettico era svanito come il temporale che lascia le sue vittime a terra, in miriadi di foglie torte fin sui patii e le finestre.
Assieme al gocciolio delle gronde dai tetti così gli occhi di Bertha terminarono il supplizio delle contrazioni in piccole, lacrimevoli scintille. Si ingoiò gli ultimi nervi e con essi i panni della sua plumbea Pearl. Le spaventose inclinazioni avevano lasciato agli altri, nella stanza, l’odore bruciato dei suoi violenti incanti.
Il dottor Knight abbassò il grosso monocolo d’osso sopra il suo occhio come per accertarsi che in quelle due fertili tube Bertha non nascondesse altro che la cruda realtà. Si rialzò dal viso di lei e cercò l’assenso della istopatologa Face. Lei rispose reattiva al richiamo dondolando la testa sopra al collo come fosse una scimmia urlatrice dal grande posteriore rosa.
Il rumore crespato del lattice sfilato dalle dita sancì la fine della seduta mentre il giovane e rampante Warren ripose nel gel le fiale di acroagonine e cervelli di maiali fritti.
La piccola consulta lasciò la stanza e bertha con l’ultimo dei suoi sforzi sollevò leggermente il capo da quell’astuccio di corpo verso quelle lunghe finestre sul giardino.
Fuori dall’istituto Hirnforschung, sotto a un vecchio albero, Harry e un piccolo taxi di latta, appeso per un fanale a un filo di lana teso fino al dito di una riccioluta bimba.

il giorno più bello

Era il giorno di Emma, un sorriso innocente e gli occhi grandi di gioia. Avevo il sapore di carta panata in bocca, l'odore dei santi attorno e, dietro il profilo del raso bianco, sua madre tronfia e gonfia come quel suo culo che sapevo non meno.
Il gesto di pace che non m'avrebbe assolto, in questa vita almeno.
Così iniziò quella domenica di quasi inverno.

...

Era la prova del miele,
il sangue caramellato sotto alle rime
e quel suo candore di un occhio senza fondo.

...

Anime di rifugiati svenimenti
in cornici lente di gambe rapide.
Erano in questa vita e non poteva essere altrimenti.
Formavano molli miracoli di giganti
che hanno divorato il cesso
e tutto quell'amore placato
che galleggiava dentro.

...

mi sfiancò stanco lungo l'ardire che mi faceva vivo, ma era fumo, un leggero sapore di niente che mi gonfiò i giorni passati e bestemmiò i nosstri

...

L'altro e io che comminammo il dono.
Io che volevo quella striscia,
quella striscia lungo il marciapiede
e lui,
lui che voleva il mondo.

stretto

impastate di sabbia e sangue,
il sorriso ti muore,
stretto,
tra labbra socchiuse e lacere.
Ogni fremito un piccolo sasso,
ogni sillabata pietà
di una terra sporca tra i denti
è la caduta in gocce
di una vita ancora acerba.

spasmi

disperati spasmi
tra abbozzi di colori d'alte sonde
in riverberi innestati qui in fronte.
Distruzioni d'altri borghi,
quando ormai tutto nel quartiere
cade e si sorregge per appuntati spilli,
tra bombe e nitro,
per buche profonde cinque corpi,
piedi piccoli senza cuoio
vagano tra lamenti in castrati sensi.

mercoledì 28 gennaio 2009

...

Una covata di uccelli blu e nuvole
Fanno del suo petto uno sfornato
Rappreso e moscio.
Spillo la vena, conto le gocce
E le lascio la notte.